L’ultima tragedia dei nostri mari mi ha provocato uno sgomento profondo quanto gli abissi che hanno fagocitato tutte quelle anime. Eppure, io come molti altri, sono stata costretta a sentire una marea di idiozie. Quelle settecento anime, una, un milione – è uguale – che hanno preso i loro figli e hanno sfidato il mare per scappare dalla loro terra. Davanti a tragedie dal sapore annoso, la soluzione per salvare queste vite dovrebbe essere impedire ai barconi di partire. Chiudere i confini e i paesi e le menti. Se non vediamo cadaveri galleggiare in acqua siamo più contenti tutti. Alla sera, andiamo a dormire con la coscienza pulita. Poggiamo la nostra testa sui cuscini profumati di ammorbidente, dopo aver baciato i nostri bambini, mentre in un mondo neanche troppo lontano, la sera, la nostra stessa sera, piuttosto che guardare la paura negli occhi dei loro bambini, dei genitori decidono di affrontare il mare. Salviamoli. Non lasciamoli partire. Lasciamoli vivere nella paura, morire nella paura, purché non siamo costretti a vederli. Lasciamoli sull’altra sponda del mare, nel loro porto, dove sono nati per una colpa che non è nostra. Questa è la nostra terra, solo nostro è il diritto di viverla. Solo nostro è il diritto di vedere i figli giocare sereni, solo nostro il diritto di avere dei sogni…
Sapete cosa, io pago le tasse. Le voglio pagare. Per la scuola che mio figlio odierà, per gli ospedali che spero di non dover visitare, per le auto blu o le corse in metro con tanto di scorta, per i figli delle donne che lavorano e per i figli di quelle che non lavorano, per le strade e i treni, per l’esercito da anni pronto alla guerra. E per i piccoli sogni di chi vorrebbe solo diventare vecchio, quelli che ieri ha rubato il mare. Vorrei poter dire, pago le tasse e questa è la mia terra. C’è posto per chi deve lasciare la sua. C’è posto per quei bambini sotto un sole che è di tutti.
Il mare che ha ucciso tutte quelle anime è quello dell’intolleranza.