A che età si diventa donne, mi chiedo. Passati i venti? Passati i trenta? Passati i quaranta? A trentatré anni mi ritrovo in un posto, un salotto, che pure avevamo immaginato da ragazzine ma ora è diverso. Tre donne, tre madri. Non posso sapere come si sentano le altre, perché da quando abbiamo deciso di essere donne è bene opporre un sorriso di plastica agli sguardi compassionevoli. Abbiamo problemi da grandi, ma dentro, a diciassette anni, trabocchiamo ancora di sogni e non sappiamo come affrontarli. Così è come mi sento io, forse sono lo specchio della mia generazione, forse no. Sono una mamma, certo, ma alcune volte mi sento sopraffatta e inadeguata, spaventata dal futuro e dagli strascichi degli errori commessi. Sembriamo quelle di prima, ma non lo siamo, non possiamo più esserlo. Perché ora si combatte con i capelli bianchi, le mete bucate per strade secondarie che ci parevano sicure, le decisioni prese perché avevamo giudicato fosse il momento, e non lo era. Guardo mio figlio crescere, cerco con tutte le forze di dargli quello che ritengo giusto, ma ho timore del mio proprio giudizio, come un tempo ho avuto timore di quello degli altri. E quando, ragazzine coi capelli bianchi già affannate dalla vita, ci vediamo, non abbiamo il tempo di parlarne, perché dobbiamo giocare a nascondino, provare a fare pipì, preparare la pappa, spezzare le penne nel piatto, rimediare a litigi per un giocattolo, riprendere la più piccola chiusa nell’armadio. Questo per dire, alle mie amiche, alle amiche in generale, alle mamme e a tutte le donne, che state facendo bene, stiamo facendo bene. C’è la nostalgia, ogni volta che prendo un caffè macchiato, vedo un film che ci faceva sognare, sento una canzone che abbiamo ballato in mutande, arriva il profumo della primavera nonostante il freddo impietoso. E c’è la paura, quando tuo figlio dice una parolaccia e lo sgridi ma ti viene da ridere perché con ogni probabilità l’ha sentita da te, di pensare a te stessa, del tempo che è troppo o troppo poco, di dedicarti solo a lui ora e ritrovarti una persona che non avrà nulla da offrirgli come esempio quando sarà grande e, al contempo, di non donargli tempo sufficiente. Da perderci la testa, sul serio. Ma, sebbene almeno per altri dieci anni non avremo il tempo di parlarne, o il coraggio, in questo bailamme di emozioni confuse io so che siamo l’una per l’altra, in silenzio. A me stessa dico che si sbaglia, si cade, ci si rialza, e non dobbiamo avere paura di mostrarci per quello che siamo, anche ai nostri figli. Esigue o padrone del mondo non ci dimentichiamo mai di amare la cara immagine del passato e lo spauracchio del futuro. Io sono sempre qui, sempre io, purtroppo o per fortuna. La ragazzina di trentatré anni che vede lo stesso film sette volte in una settimana, che si arrabatta ancora dietro ai sogni, che legge a suo figlio i lemmi del vocabolario. Qualora, in un momento di sconforto, aveste bisogno di certezze, io ci sono, con tutti i miei difetti, che, sono certa, amate. L’età adulta mi ha insegnato a custodire gelosamente nel cuore tutte le cose che trovavo insopportabili di voi (forse perché ci vediamo di meno), e a stare in silenzio quando è necessario. Alla scapolona incallita, alla separata, alla mamma a tempo pieno con crisi isteriche repentine, a quella che aspetta solo l’anello per sposarsi, alla giramondo che non riesce a fare la dieta, siete delle donne splendide, tutte, perciò, in questa mattina uggiosa di gennaio, aspetto che arrivi il sole e mi sento splendida anch’io.
Verrà il tempo in cui matureremo tanto da accettarci, io mi faccio la tinta e aspetto.