Non si dice “odio”, ma io odio i cliché. Soprattutto quelli, e sono tanti, fatti ad hoc per schematizzare il comportamento di noi donne in un algoritmo molto lineare che si conclude sempre con una crisi isterica. Percorriamone alcuni insieme. Non sappiamo parcheggiare, né guidare l’auto come gli uomini. Usiamo troppe parole per concetti che gli uomini non sentono neanche il bisogno di esprimere, figuriamoci ascoltare. Vogliamo avere sempre ragione, ricordiamo ogni piccola azione che abbiamo ritenuto scorretta nei nostri confronti – secondo criteri opinabili – , anche ad anni di distanza. E sebbene l’essere ridotta a uno stereotipo mi pesi molto, devo dire che la maggior parte delle cose che si dice in giro, per quanto mi riguarda, è vera. Tuttavia, riesco a rifuggire senza scoramento alcuno dal luogo comune della maniaca dell’ordine e della pulizia. Lo devo dichiarare, ne sento il bisogno. Odio riordinare, stirare, lavare, avviare la lavatrice, pulire il frigo, i pavimenti. Odio sì. Immensamente. Il mio regno non è la casa, è l’entropia. In tutti i momenti in cui mi sottopongo, mio malgrado, alla cura del focolare, un moto di indignazione per il mio tempo sprecato mi pervade, fino a farmi venire voglia di urlare. E allora inizio a fare tutte le faccende animata da gesti convulsi e frettolosi, combattendo l’impulso di scappare per non tornare mai più. Chiunque incroci il mio cammino durante le faccende, si ritrova ricoperto da una coltre di improperi, fitta, densa, come la polvere che sto togliendo, senza avermi neanche rivolto la parola. I dolori del parto e gli sconvolgimenti mensili che ci sconquassano con regolarità e la depilazione, sono poca cosa al confronto. Vorrei rinascere donna altre mille volte, sì… in un mondo nel quale partorire sia già abbastanza. Ora torno a fare il cambio di stagione, mentre mio marito non fa altro che parcheggiare alla perfezione.