Quando mi sono sposata, o per meglio dire prima, ho dovuto frequentare un corso prematrimoniale. Una serie di incontri in cui conoscere il Vangelo, in modo accelerato, per chi, come me, è un cattolico molto “casual”. A ogni modo, dal momento che ci dovevo andare, ho colto l’occasione per prestare attenzione. Una delle parabole che più mi ha colpito è quella del “servo senza pietà”, che Gesù racconta a Pietro, quando egli gli chiede quante volte avrebbe dovuto perdonare il fratello mancante nei suoi confronti. “E non settanta volte,” rispose Gesù, “ma settanta volte sette.”
Il perdono. È la prova più difficile. Poiché, e resto quasi in tema di cucina, la vendetta ha un profumo invitante e un sapore ancora migliore. C’è una linea troppo sottile, tuttavia, che delimita il confine tra vendetta e giustizia. Come fare a discernere cosa è giusto e cosa non lo è? Quando perdonare non significa semplicemente farsi schiacciare da chi ci ha fatto un torto? Farlo notare con forza e con tutti i mezzi possibili potrebbe significare anche non permettere che quanto è successo a te succeda anche ad altri. E ancora, vale la pena perdonare se ci si rende conto che quel perdono sarà percepito come un segno di debolezza, da parte del “servo senza pietà”? A tutte queste domande io non posso dare una risposta. So che l’odio danneggia solo chi lo prova, e che perdonare, profondamente, sia una delle sensazioni più liberatorie che l’animo umano possa provare. Questo è un fatto. Ma se il perdono non è richiesto? Bah. Rimettiamo i debiti e ci verranno rimessi i nostri. Ma alcune volte il debito che si ha è verso se stessi e la propria dignità. Forse è quello il limite tra vendetta e giustizia. Fermarsi un attimo e vedere chiaramente se il nostro debitore non stia approfittando della nostra pazienza.
Non è facile ma lo dobbiamo a noi stessi. Se ci chiedono il perdono, facciamolo con tutto l’amore che riusciamo a provare. Se ci chiedono di soccombere, facciamo quanto è giusto per noi stessi.
Se la vendetta va servita fredda forse, per essere giusti, è meglio portare in tavola un bel piattino bollente. E io adoro cucinare.