Chi non muore…
Che si sappia (#sapevatelo per i patiti), sono una che non mantiene le promesse, neanche quelle con sé stessa. Sono passati più meno tre anni dall’ultima volta che ho scritto questo blog; avevo promesso, giurato, croce sul cuore, che io e lui, che nel seguito sarà indicato come l’Innominato, per la privacy, dopo tutto quello che abbiamo condiviso, le risate e le gioie e i dolori e le aspettative e le delusioni e le avventure e le ritirate, che io e lui, dicevo, non avremmo condiviso mai più niente. Giuro, ho detto, che non vedrà mai più la mia faccia, non sentirà mai più la mia voce, non riderà mai più alle mie battute, non ci faremo mai più una maschera di bellezza insieme. Tra l’altro, a ben pensare, queste maschere di bellezza non gli sono servite granché, mentre io sono sempre giovanissima, lui, l’Innominato, quando lo spio sui social, mi pare molto invecchiato e triste senza di me, e gli sta bene, gli sta proprio bene. Non solo le maschere non gli sono servite, parimenti inutili, facendo un bilancio del nostro tempo insieme, sono state le raccomandazioni, le cure, i consigli… i famosi buoi che si rivelano inutili a tirare il carretto in confronto a metodi tricologici di vario tipo sono una grande verità, sebbene cliché abusato.
Il tempo dell’assenza è, in accordo all’insita ironia della vita, più denso di quello della presenza. E nel tempo denso, vischioso, per la verità io sguazzo. Amici miei, oggi che vi ritrovo, vi dico cosa ho capito. Anche se non pareva, vi comprendo, sto parlando di perdono. Anche chi crede nella vita dopo la morte, a volte mi lascio convincere anch’io, converrà che ci sono cose che da anime immortali non si possono fare: sentire il sangue che scorre veloce e arriva a pulsare nelle tempie, mentre una persona che era parte di te ti recide senza un motivo, guardarsi le mani e avere voglia di schiaffeggiarsi a lungo, fino a provare dolore, odiare, soprattutto odiare, cercare vendetta e sentirsi stanchi, troppo acciaccati per attuarla, soffocare la sottile e dolorosa soddisfazione di apprendere per vie traverse che la sua vita è andata comunque a rotoli, maledire se stessi per l’indifferenza che non arriva, non poterlo confessare a nessuno per non essere tacciati di stupidità, per non sentirsi dire, Ci stai ancora pensando?
Da anime, si sta tranquilli, in pace con sé stessi, la sensazione della rabbia che si scioglie, come il corpo dopo una starnuto, è di questo tempo, di questa vita, e io non ne voglio perdere neanche un attimo. Perché tu, Innominato, che ancora mi conosci come io conosco te, lo sai.
Non so se potrà essere come prima, intanto viviamo senza pesi sul cuore.
Uno dei miei pochissimi pregi è il coraggio, perché ho paura di tutto e vivo lo stesso.
Dunque, si riprende con le ricette amici miei, se vi va, perché, dopo tre anni che l’Innominato ha fatto davvero schifo in tutti i modi possibili e immaginabili, ha avuto il coraggio di mandarmi, un bel giorno, un messaggio significativo che riassume il significato della vita, degli anni spesi insieme, del discernimento degli errori fatti e della profonda volontà di recuperare. Questo messaggio diceva (scusa se lo pubblico pur essendo così intimo): Come stai?
Non è verità letteraria, amici miei.
Questo è tutto, direi che è una vera fortuna che questo blog lo scriva io, almeno.
A tutte le promesse infrante, al perdono e alla vita. Per tutto il resto, abbiamo l’eternità.
Da Salerno è tutto, a voi la linea studio.